Cedolare secca: quando la Cassazione «censura»
l’Agenzia delle EntrateAvv. Luca Capodiferro
Presidente Centro studi nazionale
Confabitare
Con la recentissima sentenza n.
12395 dello scorso 12 aprile 2024, la Corte di cassazione, V
Sezione tributaria civile, sembra aver messo finalmente la parola fine ad
una querelle che ormai da troppi anni vedeva contrapposti i proprietari
immobiliari all’Agenzia delle Entrate sul tema dell’applicabilità o meno della
cedolare secca anche ai contratti nei quali il conduttore non è una persona
fisica. Ora, com’è ben noto a tutti, l’introduzione di questa imposta
sostitutiva – avvenuta con l’art. 3 del D.lgs. n. 23 del 14 marzo 2011 – non
solo ha reso più appetibili per i locatori i contratti sotto il profilo
fiscale, ma ha altresì consentito di far emergere dal c.d. nero un’infinità di
contratti di locazione che prima sfuggivano a qualsiasi controllo del fisco.
Pur nella distinzione fra aliquota “ordinaria”
al 21% e aliquota “ridotta” al 10% per i canoni concordati nei Comuni ad Alta
tensione abitativa – cui si deve aggiungere la possibilità di abbattere l’IMU
del 25% – la norma è sempre apparsa a noi giuristi molto chiara: la possibilità
di applicare la cedolare è riservata ai soli locatori persone fisiche, che non
agiscano nell’esercizio di un’attività imprenditoriale o professionale. I
problemi sono sorti, quasi da subito, laddove il conduttore (che nella norma
non è indicato) sia una persona giuridica e non una persona fisica. Questo
perché l’Agenzia delle Entrate, basandosi su due circolari interpretative da
essa stessa emanate (26/E/2011 e 50/E/2019), ha contestato l’applicazione della
cedolare secca a tutti quei contratti nei quali – pur essendo il locatore
persona fisica nel rispetto dell’art. 3 – i conduttori fossero persone
giuridiche. Arrivando addirittura al punto di eliminare, nella piattaforma per
le registrazioni telematiche, la relativa opzione.
L’interpretazione illegittima
dell’Agenzia delle Entrate e il valore delle Circolari
Nella Circolare 26/E/2011 l’Agenzia
svolge delle considerazioni di natura fiscale molto generiche e superficiali
per fondare il proprio ragionamento: in sintesi afferma che sussiste, nella
norma del 2011, una sorta di “riserva a favore delle sole persone fisiche” e
ciò perché, a suo dire, dall’assoggettamento del reddito derivante dalla
locazione con cedolare secca deriverebbe l’obbligo – per il locatore – di
considerare detto reddito anche ai fini della determinazione dell’imposta
personale dovuta (oltre ad altre considerazioni su deduzioni e detrazioni e
benefici vari). Quindi, conclude, è per questo che la cedolare è preclusa alle
persone giuridiche quandanche concedano un immobile in affitto ad uso
residenziale. Ragionamento corretto se riferito ai soli locatori. Ma dato che
la legge non parla di conduttori, ecco che l’estensione ad essi del divieto
diventa non solo un atto arbitrario ed illegittimo, ma anche un vero e proprio
capolavoro di prevaricazione della legge e dei diritti del contribuente.
In sostanza l’Agenzia ritiene che il regime
alternativo non si possa applicare a quei contratti nei quali i conduttori
agiscano nell’esercizio di un’impresa, arte o professione e ciò a prescindere
da quale sarà l’effettivo utilizzo dell’immobile. Quindi la conclusione – del
tutto arbitraria – del Fisco è che non solo il locatore deve essere persona
fisica operante al di fuori di attività imprenditoriale, ma lo deve essere per
forza di cose anche il conduttore, evidentemente per estensione analogica. Un
ragionamento che – dopo anni di decisioni decisamente contrarie – ha “trovato
sponda” in una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale della
Lombardia (n. 208 del 2020) che ha
ritenuto – riformando una sentenza della Commissione Provinciale – che il comma
6 dell’art. 3, D.lgs. n. 23 del 2011 nell’escludere l’applicazione del regime
sostitutivo di tassazione previsto dal comma 1 a favore del locatore che, pur
se persona fisica, stipuli una locazione di unità immobiliare ad uso abitativo
effettuata nell’esercizio di una attività d’ impresa, o arte e professione, tale
divieto si estenda anche all’ipotesi in cui sia invece il conduttore ad
esercitare l’attività d’impresa o arti o professioni. Un ragionamento del tutto
infondato, che costituisce a tutti gli effetti violazione e falsa applicazione
dell’art. 3, comma 6, del D.lgs. n. 23 del 2011, per avere la Commissione
regionale erroneamente equiparato, ai fini qui considerati, i conduttori ai
locatori, atteso che soltanto questi ultimi, per poter usufruire del regime
della cedolare secca, non devono agire nell’esercizio di un’impresa, arte o
professione.
Ma, quindi, in sintesi su quale
norma si fonda il ragionamento dell’Agenzia delle Entrate?
Su nessuna!
L’unico riferimento sono,
appunto, le succitate Circolari. E, allora, qual è esattamente il valore di
queste?
Le Circolari altro non
sono che atti amministrativi a valenza interna, esclusivamente
funzionali, quindi, all’attività interna della Pubblica Amministrazione e che,
per nessun motivo, costituiscono fonde del diritto. Lo spiega bene la stessa
Cassazione: “deve sottolinearsi che l’Amministrazione finanziaria non ha
poteri discrezionali nella determinazione delle imposte: di fronte alle norme
tributarie, essa ed il contribuente si trovano su un piano di parità, per cui
la cosiddetta interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o
risoluzioni, non costituisce mai fonte di diritto (Cass. n. 3598/2022; n.
14619/2000; Cass., Sez. U, n. 23031/2007). Conseguentemente, la Circolare
del 1/6/2011 n. 26/E, in quanto non manifesta attività normativa, essendo atto
interno della stessa Amministrazione, è destinata ad esercitare una funzione
direttiva nei confronti degli uffici dipendenti ed è, altresì, inidonea ad
incidere sugli elementi costitutivi del rapporto tributario”.
Un orientamento, quello della
Cassazione, che fino alla sentenza del 2020 ha sempre connotato le decisioni
delle varie Commissioni provinciali e regionali, che hanno sempre censurato il
fatto che l’Agenzia delle Entrate continua ad operare come se le sue circolari
fossero a tutti gli effetti leggi dello Stato e non atti meramente interni.
Un atto di “prepotenza” quello
dell’Agenzia delle Entrate?
Se non lo è, molto ci si
avvicina. Di certo un atto arbitrario e del tutto illegittimo.
La portata “storica” della
sentenza della Cassazione
Censurando la scelta dell’Agenzia
di attenersi pressoché esclusivamente a quanto da essa stessa stabilito
all’interno delle suddette Circolari, la Suprema Corte è partita da una
considerazione squisitamente normativa nel valutare il ricorso portato alla sua
attenzione. Un ragionamento che merita di essere sintetizzato e riportato. Evidenzia,
infatti, la Corte che il proprietario o il titolare di un diritto reale di
godimento di unità immobiliari abitative, e relative pertinenze, locate ad uso
abitativo, che abbia optato per il regime della “cedolare secca”,
assolve in concreto il proprio obbligo tributario mediante versamento, in
acconto e a saldo, della “cedolare secca” stessa. La base imponibile
è quindi determinata sulla scorta del canone di locazione annuo stabilito dalle
parti ed in ragione di una aliquota del 21% o, in caso di contratti a canone
concordato, di quella ridotta, che oggi è pari al 10% per i Comuni ad Alta
tensione abitativa. Ne consegue che il
locatore, che opta per tale regime tributario agevolato, non può chiedere l’aggiornamento
del canone. Tale regime, come detto, potrà essere scelto solo ed esclusivamente
laddove il locatore non operi in regime d’impresa, arte o professione. Questo quanto stabilisce il Decreto del 2011,
norma che, del resto, come sottolinea la Corte, attribuisce esclusivamente al
locatore la possibilità di optare per il regime tributario della cedolare
secca, senza che il conduttore possa in alcun modo incidere su tale scelta e
restando del tutto irrilevante la sua qualità di persona fisica o giuridica.
Ma il ragionamento va oltre e
sembra voler prevenire possibili obiezioni del Fisco: la Corte, infatti,
sottolinea come “la circostanza che il regime tributario in esame avvantaggi
anche il conduttore – in considerazione dell’esclusione dell’imposta di registro
e dell’aggiornamento del canone – non può certo giustificare un’interpretazione
dell’art. 3, comma 6, del D.lgs. n. 23 del 2011, da cui derivi una riduzione
dell’ambito applicativo della cedolare secca in danno del locatore, a cui è
riservata la relativa scelta e che è il beneficiario principale di tale regime”.
E se questo è il dato normativo,
va da sé per la Corte che il comma 6-bis non esclude affatto che, in base ai
commi precedenti, il locatore possa esercitare l’opzione per la cedolare secca anche
con riferimento ad un contratto di locazione ad uso abitativo concluso con un
conduttore imprenditore/professionista e riconducibile all’attività di
quest’ultimo. E per chiarire meglio le cose propone il caso in cui l’immobile
sia locato ad una cooperativa o ente senza scopo di lucro che abbia come causa
del contratto la concessione in locazione a studenti universitari. I giudici hanno precisato, infatti, che la
norma nella sua complessità prevede la possibilità per il locatore di optare
per la cedolare secca in ragione non tanto del contratto di locazione concluso
con conduttori cooperative edilizie per la locazione/enti senza scopo di lucro,
ma piuttosto di quello di sub-locazione con studenti universitari: possibilità
che, da un lato, prescinde dal tipo di contratto “madre” concluso
(che potrebbe anche non essere una locazione ad uso abitativo), ma che,
dall’altro lato, esige, al fine di evitare abusi o distorsioni della cedolare secca,
la successiva stipula di un contratto di sub-locazione ad uso abitativo, con
rinuncia all’aggiornamento ISTAT, a favore di studenti universitari o la messa
a disposizione dei Comuni.
Le conclusioni della Suprema
Corte
Al termine di un ragionamento
assolutamente lineare e condivisibile, la Corte conclude che il ricorso merita
accoglimento in virtù del seguente principio di diritto: “in tema di redditi
da locazione, il locatore può optare per la cedolare secca anche nell’ ipotesi
in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo
nell’esercizio della sua attività professionale, atteso che l’esclusione di cui
all’art. 3, sesto comma, d.lgs. n. 23 del 2011 si riferisce esclusivamente alle
locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore
nell’esercizio di una attività d’impresa o di arti e professioni”. E
accogliendo il ricorso senza rinvio è come se avesse voluto mettere uno stop ad
interpretazioni “stravaganti” ed illegittime dell’Agenzia delle Entrate e di
alcune sparute Corti tributarie. E che questo possa essere un monito sembra
volerlo confermare la decisione sulle spese: la Corte, infatti, ha precisato
come solo l’assenza di precedenti giurisprudenziali giustifichi la compensazione
delle spese del giudizio di legittimità.
La speranza, laddove il
comportamento illegittimo del Fisco dovesse essere reiterato, è che nelle
prossime pronunce la Corte condanni l’Ente al pagamento delle spese processuali
di modo che, per i casi “recidivi”, si arrivi all’accertamento – da parte della
Corte dei conti – della responsabilità contabile del dirigente.